LIS
LINGUA ITALIANA DEI SEGNI
LINGUA ITALIANA DEI SEGNI
Quest’anno, come Clan Colibrio, abbiamo deciso di impegnarci in un cammino di scoperta e approfondimento su un tema che ci ha subito coinvolti: la Lingua Italiana dei Segni (LIS). Da sempre lo scoutismo è portatore di inclusione, ma ci siamo chiesti: saremmo davvero pronti ad accogliere nel nostro gruppo una persona non udente? Saremmo capaci di comunicare con lei? La risposta è stata sincera: no. Da lì è iniziato il nostro “Capitolo”, un percorso di conoscenza e di apertura, con l’obiettivo di informarci, comprendere e – soprattutto – agire.
Il primo passo è stato lo studio della storia della LIS, nata per dare una “voce visiva” a chi non può usare le parole. La LIS ha radici antiche, ma è stata riconosciuta ufficialmente in Italia solo nel 2021. Per raccontarla in modo semplice e chiaro, abbiamo realizzato una presentazione, frutto delle nostre ricerche e della collaborazione con Preeti, una nostra ex capo scout udente che ha seguito il corso di primo livello LIS. È stata per noi una guida preziosa, che ci ha aiutato a chiarire dubbi storici e tecnici, e ci ha introdotto alle basi del linguaggio non verbale.
Uno dei momenti più interessanti è stato l’apprendimento delle regole fondamentali per una comunicazione efficace in LIS. Preeti ci ha spiegato quanto sia importante la postura: indossare una maglietta che crei contrasto con il colore della pelle (nera per chi ha la pelle chiara, chiara per chi ce l’ha scura), posizionarsi con la luce di fronte al viso e al busto e mantenere una posizione del corpo completamente rivolta verso l’interlocutore. È importante anche mantenere mani e viso visibili e usare espressioni facciali chiare, che in LIS sono parte integrante della comunicazione.
Incuriositi da quanto appreso con Preeti, abbiamo deciso di approfondire il tema conoscendo qualcuno che vive a stretto contatto con la sordità ogni giorno. A Cittadella abbiamo avuto la fortuna di riversare tutte le nostre domande a Fabiola, mamma di Gioia, ragazza non udente di dodici anni. L’arrivo di sua figlia l’ha catapultata in un mondo che non conosceva da vicino e per cui si è dovuta rimboccare le maniche fin da subito. Ci ha raccontato la sua quotidianità familiare, soffermandosi su attenzioni e strategie usate per comunicare con la figlia.
Attraverso le sue parole e le nostre domande, siamo entrati nel mondodi una persona sorda, scoprendo quanto spesso l’ambiente intorno a noi non sia pensato per tutti. Alcuni esempi ci hanno colpito: chi non sente il campanello di casa, spesso lo collega a una luce lampeggiante; oppure, per chiamarsi da una stanza all’altra, si usa un segnale luminoso invece di urlare o bussare.
Colpiti da questa nuova prospettiva, il nostro entusiasmo è cresciuto. La voglia di imparare qualcosa di concreto ci ha portati a studiare l’alfabeto LIS, che ci ha subito appassionati: con un po’ di esercizio siamo riusciti a padroneggiarlo in poco tempo. Una lezione di LIS, gentilmente impartita da Fabiola, ha saziato la nostra curiosità: a fine incontro avevamo certamente ampliato il nostro vocabolario inerente ai nomi delle città! Sapevamo ordinare un caffè e uno spritz! Di cuore non possiamo che ringraziarla per la sua generosa disponibilità e per il contributo enorme che ci ha dato nella nostra strada verso una nuova consapevolezza.
L’ultima testimonianza del nostro percorso è stata quella di Silvia e Marco, una coppia di sposi, entrambi sordi dalla nascita. Vivono in provincia di Padova e hanno due figli udenti. Li abbiamo conosciuti grazie a Gianna, una signora che si è offerta di fare da interprete: pur essendo sorda, infatti, ha raggiunto un livello di adattamento al mondo udente davvero impressionante.
Gianna ci ha raccontato di essere nata udente, ma di aver perso l’udito improvvisamente, nel giro di una notte, quando era bambina, per colpa di una febbre apparentemente banale. Il cambiamento improvviso e l’assenza di altre persone sorde nel suo ambiente l’hanno spinta ad apprendere in fretta: ha imparato a leggere il labiale in modo eccellente e a parlare con chiarezza.
La comunicazione con Silvia e Marco non è stata semplice fin da subito, ma proprio questa difficoltà ci ha aiutato a superare l’imbarazzo iniziale e a capire meglio quali sono le sfide che le persone sorde devono affrontare ogni giorno. Ci hanno raccontato episodi di incomprensioni quotidiane, della realtà di un percorso scolastico spesso esclusivo più che inclusivo e la fatica vissuta nel periodo del Covid, quando leggere il labiale diventava impossibile a causa delle mascherine. Tuttavia, ci hanno anche parlato dei benefici della tecnologia, che in alcuni casi ha migliorato la qualità della comunicazione con le persone udenti. Incontrarli ci ha permesso di porci in una nuova prospettiva, che abbiamo colto nello scarto tra la banalità di alcune nostre azioni quotidiane e l’esperienza diversa di una persona non udente: ad esempio, quando abbiamo chiesto loro come può prendere appunti una persona sorda a lezione, sorridono e rispondono: “Impossibile!”.
Ci ha colpito l’entusiasmo con cui Silvia e Marco ci hanno descritto la loro esperienza scolastica in alcuni Istituti italiani interamente progettati per persone sorde: un ambiente dove l’apprendimento è pienamente efficace e la comunicazione in LIS stimolata e arricchita. In questi Istituti una persona sorda condivide la propria quotidianità con altre persone non udenti; può dunque sentirsi pienamente compresa, accettata e inserita in un contesto favorevole a sviluppare la propria personalità e autostima.
In un mondo che proclama l’inclusività a gran voce, spesso si dimentica l’importanza di spazi come quelli descritti da Silvia e Marco. Non si tratta di luoghi di isolamento, ma di ambienti che garantiscono pienamente l’espressione e lo sviluppo degli studenti, mentre nella scuola pubblica – oggi – questo è ancora molto difficile. Questo è quanto emerso dalla testimonianza di Fabiola, che ci ha raccontato della difficoltà da lei incontrata quando è stato il momento di scegliere la scuola per sua figlia Gioia. Ci ha spiegato che nella scuola pubblica mancano spesso le risorse, l’assistenza che viene garantita non sempre è prestata da persone adeguatamente formate e preparate e, più in generale, manca una vera conoscenza della sordità.
Rispetto a questo, colpisce nel nostro territorio la notizia della chiusura dell’Istituto Magarotto di Padova, una scuola storica per persone sorde. L’amarezza con cui ce ne hanno parlato Silvia e Marco è indicativa della positività di quel modello di scuola: non un luogo di separazione, ma uno spazio dove gli studenti potevano comunicare liberamente, sentirsi accolti e valorizzati, anche grazie alla presenza di insegnanti sordi; dove l’apprendimento era naturale e sereno, rafforzava la fiducia in sé stessi e la formazione della propria identità. Fa riflettere che, in un’epoca che parla tanto di inclusione, si scelga di chiudere realtà che davvero garantivano dignità e piena espressione, quando, al contempo, la scuola pubblica non riesce a offrire lo stesso livello di accoglienza e inclusione.
A Padova la comunità delle persone sorde si riconosce soprattutto nella Sezione Provinciale dell’Ente Nazionale Sordi (ENS), un’associazione che lavora da anni per tutelare i diritti dei sordi e promuovere la loro cultura.
È una comunità molto unita, che funziona un po’ come una famiglia: ci si aiuta, si condivide una lingua e un modo di vedere il mondo. Spesso è difficile per le persone udenti entrare a farne parte, non per chiusura, ma per una certa diffidenza nata da esperienze di incomprensione o discriminazione.
Non potendo contare sull’udito, le persone sorde devono prestare molta attenzione a ciò che accade intorno a loro, anche a ciò che viene detto, e per questo la fiducia si costruisce lentamente.
Un aspetto molto bello è il “nome-segno”: ogni persona della comunità ha un segno personale che la identifica. Di solito è legato a un tratto fisico, caratteriale o all’iniziale del nome. Il nome-segno viene dato dalla comunità stessa, ed è un segno importante di appartenenza e accettazione.
Abbiamo imparato a non dare per scontato le azioni più semplici, grazie a chi percepisce il mondo in modo diverso. Abbiamo capito che si può ascoltare con gli occhi, prima ancora che con le orecchie. Abbiamo scoperto una lingua, la LIS, che sa trasformare le emozioni più astratte in gesti carichi di significato.
Vogliamo condividere con te che stai leggendo il sogno di Silvia, un sogno che ci ha profondamente colpito: che in ogni contesto pubblico – negli ospedali, nelle scuole, nelle caserme – ci siano persone capaci di comunicare in LIS.
Perché le informazioni, soprattutto quelle più delicate, non debbano passare per forza attraverso un interprete, ma possano essere affidate con fiducia a chi ci sta davanti. È il sogno di un mondo dove anche la riservatezza e la libertà di scegliere con chi condividere i propri dati siano un diritto garantito.